L’analisi citogenetica è stata la prima a svilupparsi in ambito diagnostico sia in postnatale che in prenatale. In quest’ultimo caso in particolare l’avvento delle tecniche mediante prelievo invasivo nel primo e secondo trimestre di gravidanza ha visto l’aumento costante negli anni di queste tecniche analitiche per rilevare anomalie cromosomiche fetali sia ereditarie che legate all’avanzare dell’età gestazionale; l’incidenza delle aneuploidie più frequenti, infatti, aumenta in maniera esponenziale con l’aumentare dell’età (1 su 1500 circa a 20 anni; 1 su 25 circa a 45 anni). I pazienti che possono accedere alla diagnosi prenatale rientrano generalmente nelle seguenti categorie:
- Età materna avanzata, genitori con precedente figlio affetto da patologia cromosomica
- Genitore con aneuploidia dei cromosomi X e Y
- Malformazioni fetali evidenziate mediante ecografie
- Esiti di screening ecografici/biochimici, o NIPT (DNA fetale circolante)
- Condizione di affetto o portatore di malattia genetica conclamata
A tutt’oggi l’analisi citogenetica costituzionale rappresenta l’analisi di elezione in ambito invasivo, tuttavia si sono rese disponibili altre analisi come la QF-PCR che dà la possibilità in tempi rapidi (48/72 ore) di avere risposte per le aneuploidie più frequenti, come ad esempio la trisomia del cromosoma 21 che determina la sindrome di Down.
Gli ultimi anni hanno visto inoltre l’avvento delle diagnosi prenatali non invasive, nel primo e secondo trimestre di gravidanza. In particolare nel primo trimestre di gravidanza è opportuno tenere in considerazione la richiesta del bi-test, un’ analisi predittiva in grado di combinare il dato ecografico della misurazione della translucenza nucale con dosaggi analitici ormonali specifici nel sangue materno. La non invasività ha portato ad un grosso sviluppo di queste analisi, anche se è opportuno specificare che si tratta di test non di tipo diagnostico ma di tipo statistico, in quanto viene calcolata un’ ipotesi di rischio.
Oggi alle donne in gravidanza viene offerto principalmente il NIPT (Non Invasive Prenatal Test), anch’esso un test di screening (non diagnostico), basato su tecniche molecolari di elevata sensibilità che analizzano la probabilità che il feto sia affetto dalle più comuni anomalie di numero dei cromosomi sessuali e non sessuali: trisomia 21 (sindrome di Down), trisomia 18 (sindrome di Edwards) e trisomia 13 (sindrome di Patau). Oltre alle più comuni alterazioni numeriche è possibile anche indagare sindromi associate ad alterazioni strumentali tra cui sindrome da delezione di 22q11.2, sindrome da delezione di 1p36, sindrome del cri-du-chat, sindrome di Angelman, sindrome di Prader-Willi.”
Data la natura non diagnostica del test, si rende sempre necessario confermare un risultato positivo/alto rischio con analisi invasive (villocentosi o amniocentesi).
Il test si esegue in epoca gestazionale precoce (dalla decima settimana di gravidanza), essendo stata dimostrata la presenza di DNA fetale libero circolante nel plasma materno (cff DNA: cell free fetal DNA), fin dalle prime settimane di gravidanza.